Un interessante itinerario culturale del Gruppo Seniores Exxonmobil

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Articolo pubblicato dalla Redazione il 23 febbraio 2016

Il Gruppo Seniores Exxonmobil nell’ambito delle iniziative culturali, ha organizzato il 6 febbraio 2016 una interessante visita guidata all’interno del Castello Maniace, ed alla Chiesa di San Filippo Apostolo alla Giudecca di Siracusa. La Guida, molto preparata, ci ha spiegato che il Castello Maniace di Siracusa prende il nome, tradizionalmente, da Giorgio Maniace, Generale bizantino che nel 1038 riconquista per breve periodo la città dagli Arabi e porta in dono due arieti bronzei ellenistici, che poi vennero posti all’entrata del Castello, che ha impropriamente conservato, nel tempo, il nome del condottiero. La Fortezza, come tutti sanno, è in realtà un Castello federiciano, costruito tra fra il 1232 e 1240, ed attribuito a Riccardo da Lentini. Così come i castelli di Bari, Trani, Barletta, Brindisi, Augusta e Catania, il Castello Maniace è situato sulla costa, a dominare da un lato il mare e dall'altro la città. Sorge infatti sulla punta estrema di Ortigia, all’imboccatura del Porto Grande in una posizione strategica molto importante dove, nei secoli della lunga storia della città, sono stati sempre presenti insediamenti militari. Sotto gli Angioini il Castello diviene patrimonio regio, censito nel 1273 da una commissione di inchiesta che parla di un Castrum Siragusie. Per quasi tutto il XV secolo il Castello è una prigione. Alla fine del XVI secolo, nel piano più generale di fortificazione della città, il Castello Maniace diventa un punto nodale della cinta muraria, progettata dall’ingegnere militare spagnolo Ferramolino. Il 5 novembre 1704, una furibonda esplosione avvenuta nella polveriera sconvolge l'edificio. Negli anni successivi si appresta la ricostruzione, che lascia intatte le parti rovinate dall'esplosione, mentre si creano tamponature per la realizzazione di magazzini. In età napoleonica il Castello rivive con funzioni militari e viene munito di bocche da cannone. Nel 1838, a salvaguardia dei moti che stavano scatenandosi in tutto il regno, i borbonici di Ferdinando vi innalzano una casamatta. Il Castello viene consegnato al Regno di Savoia ed utilizzato fino alla seconda guerra mondiale come deposito di materiale militare. Attualmente è in restauro.
La Chiesa di san Filippo Apostolo, meta della seconda parte della visita, è situata nel quartiere della Giudecca, nel cuore di Ortigia. La piccola chiesetta sorge dalla trasformazione della preesistente Sinagoga presente sino alla cacciata degli ebrei nel 1472. La sua particolarità risiede nella presenza, nel suo sottosuolo, degli Ipogei, scavati in età paleocristiana dai primi colonizzatori greci. Si accede agli spazi sotterranei attraverso un’apertura sul pavimento della chiesa proprio davanti al portale d’ingresso all’interno della chiesa stessa. Nel corso del tempo questi spazi sotterranei, davvero notevoli per dimensione, si sono prestati a vari utilizzi: come luogo di sepoltura, rifugio al tempo delle persecuzioni cristiane, e successivamente come luogo di purificazione secondo la tradizione ebraica.
Sotto il piano della Chiesa è presente una cripta affrescata, nella quale si aprono lateralmente degli altri vani o cappelle, una delle quali affrescata con una croce prospettica: tali affreschi sono oggi purtroppo in precario stato di conservazione. L’utilizzo più recente di queste aree risale agli anni del secondo conflitto mondiale, quando i sotterranei vennero adibiti a rifugio antiaereo durante i duri bombardamenti a cui la città fu sottoposta. Tale ambiente dispone di ampi spazi in cui sono visibili le condotte dell’aria, i sedili in cemento e i rinforzi alle volte rocciose. Sotto ancora, a circa 18 metri di profondità, troviamo il “Miqweh”, noto anche come “Fonte delle Puerpere”,dove avvenivano i riti ebraici di purificazione. Sulle pereti sono scavate delle finestre da cui è possibile vedere l’acqua in basso e la luce della chiesa in alto.
In sostanza, un itinerario che ha permesso ai presenti di riscoprire luoghi e pagine della nostra storia che occorre non dimenticare, da trasmettere alle future generazioni perché parti integranti della nostra cultura e delle nostre tradizioni.

Articolo e foto a cura di Massimo Bendia.