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Quadri ad un passo dal Museo:
emozioni condivise tra colori e forme di Bartolomeo Ortisi
Notizia
Articolo pubblicato dal nostro inserzionista l'8 gennaio 2012
I quadri mi piace guardarli e restarne ammirato per quello che sono, cogliendone subito nella maggior parte il messaggio di soggetto e colore e cercando di capire con grande umiltà il “messaggio” di quelli maggiormente complessi, sovente legati alle tendenze più innovative ed originali. Questo perché non mi ritengo un esperto d’arte ma mi sforzo di capire finchè posso il cammino di un artista e della sua opera, senza bloccarmi alla prima eventuale incomprensione del suo lavoro.
Tanti anni fa, quando da universitario scrivevo a pieno ritmo sui quotidiani locali, avevo incontrato e scritto qualche riga di cronaca in occasione di un suo evento culturale sull’amico Bartolomeo Ortisi, pittore augustano, molto conosciuto qui ed anche a livello nazionale. Ne era nata una genuina amicizia fatta di stima reciproca e semplice frequentazione nel saluto che non ci ha mai fatto perdere di vista nel tempo.
Certo, mi ha fatto piacere sotto Natale fermarmi ancora una volta con lui. Ma il piacere è stato doppio soltanto a pensare che i suoi quadri (assieme alle opere di un altro bravo suo collega, l’artista augustano Giuseppe Di Salvo) erano esposti a pochi metri dalla porta di ingresso del “Museo della Piazzaforte”, in un’altra saletta del piano terra di un Palazzo Comunale, rinnovato e restituito a grandi propositi di crescita culturale per la Città.
La sensazione allora per me è rimasta identica, così come tanti anni prima, quando per la prima volta avevo iniziato a comprendere le sue opere: colori forti e forte incisione sulla tela della pennellata, masse di soggetti a gruppo o forme solitarie in movimento, la manifestazione continua di un’anima inquieta che vuole manifestarsi sulla tela. Sono stato piacevolmente costretto a riflettere ancora una volta, stimolato alla comprensione di quei forti colori e di quelle immagini sulle quali si può discutere ed immaginare, tra realtà e desiderio di irrealtà della quale spesso si supera il confine, per sfiorare, in ultimo, il messaggio silente dell’autore.
Guardo e chiacchiero con Ortisi che parla sempre sottotono, con voce sempre mite, anche se in quei m omenti siamo soli, rispettosissima dell’interlocutore. Il piccolo corridoio separa la saletta dell’esposizione all’androne, al di là del quale uniformi, armi, cimeli e modelli racconteranno nel piccolo Museo che sta nascendo la storia militare di una città. Quelle tele mi appaiono così come non soltanto il percorso sul quale è tracciata la storia delle emozioni di uno della nostra terra ma anche il segno augurale del coronamento di sforzi ed aspettative, quelli si uguali per tutti noi, seppure in campi diversi.
Gli sforzi dei suoi pescatori, l’eleganza fiera dei cavalli, gli sguardi profondi di volti inquieti, la sfida fatta di sudore e soddisfazione dei ciclisti: tutto fa pensare al traguardo da conseguire, a costo dei sacrifici più grandi, ad onta delle delusioni e delle amarezze che possono costellare il cammino della vita.
Così, nel tempo, nella mia valutazione delle emozioni, Bartolomeo Ortisi, rincontrato in una sera di Natale a Palazzo di Città, è stato una riconferma, rappresentando anche un augurio ed uno stimolo a continuare la strada segnata; come lui continua a fare col suo enigmatico e forte pennello da quasi quarant’anni.